Campigna

Monte Falterona :

nel cuore delle foreste di Campigna

domenica 17 aprile 2011

Lunghezza: 9 km Dislivello: 500 mt
Difficoltà: E
Tempo di percorrenza: 4 ore

Percorso ad anello: Campigna – Passo della Calla – Fonte del Raggio – Ballatoio – Villaneta – Campigna

Di escursioni a piedi, attorno a Campigna, ce ne sono molte, per tutti i gusti e tutte le esigenze. Questa possiede una serie di prerogative non comuni. Soprattutto consente di scoprire tutte le specie arboree della Foresta, anche quelle più rare e sporadiche. Si svolge infatti in un ambiente biologicamente ricco – il versante romagnolo, che essendo esposto a nord è anche il più fresco e umido – e in una fascia altitudinale che va dai quasi 1300 metri fino agli 800, fascia caratterizzata dal faggio ma che, soprattutto in basso, nella “sottozona calda”, si arricchisce di molte altre componenti raggiungendo una sorta di culmine di biodiversità (è uno slogan di moda ma prima ancora è un concetto reale, importantissimo per la natura) per l’intero Appennino settentrionale.

L’itinerario è ad anello e morfologicamente mai uniforme perché scavalca una serie di valloni intervallati ad altrettanti crinali secondari che poi, dopo il “giro di boa” di Fonte del Raggio, riattraverseremo in senso contrario, più in basso.

Da Campigna (1068 m), esattamente dal rifugio “Lo Scoiattolo”, si imbocca la pista forestale diretta a sud-ovest (per Fonte del Raggio e Cullacce) e alla prima curva, con un ponte-briglia sul Fosso dell’ Abetìo, la si lascia per il sentiero 247, a destra, che comincia ad arrampicarsi in ambiente di straordinaria suggestione (faggi, possenti abeti bianchi, tassi abbarbicati su rocce, acque cristalline, ecc.) lasciando dopo poco intravedere i resti di un’antica lastricatura: è infatti questa l’originaria strada maestra per La Calla, ricalcata in un paio di punti dall’attuale asfaltata -la curva poco sopra la cascata di Occhi Brutti e l’ultimo tratto che conduce al passo – ma sostanzialmente ancora bellissima. In un’oretta si arriva alla Calla, a quota 1293, sulla strada provinciale che collega Santa Sofia con i paesi del Casentino (Stia e Pratovecchio i primi) in provincia di Arezzo.

Il nostro sentiero, il 241 del Cai, si inoltra a sinistra nel versante romagnolo iniziando subito prima dello 00 che va in direzione di Poggio Scati-Eremo di Camaldoli.
Ci troviamo subito avvolti nell’atmosfera del bosco di faggio, con alberi che, pur di grandi dimensioni,
non hanno quel portamento colonnare che troveremo più in basso. Forme contorte, rami spezzati, tronchi che danno l’idea di aver combattuto con qualche forza misteriosa. Se la nostra escursione si svolgesse in una fredda mattina di gennaio potremmo vedere materializzata quest’ultima: la galaverna. Eleganti forme di ghiaccio che ricoprono rami e tronchi, fantasticamente belle da vedere quanto pesanti fardelli per le piante.
Evidente in questo primo tratto anche un altro fattore di modellamento della foresta: l’uomo. Le tracce sono ad esempio le aie carbonili che si aprono a fianco al sentiero mostrando ancora, dopo oltre mezzo secolo, i pezzi di carbone e spesso anche gli esemplari di salicone (Salix caprea) che venivano piantati negli immediati dintorni.

Il faggio è il vero, incontrastato dominatore di queste quote, solo pochi abeti vi si mescolano, ma appena scesi sotto la cresta incontriamo un albero che si accompagna alle faggete d’altitudine: l’acero di monte. Lo riconosciamo per la vistosa corteccia che si sfalda a grandi placche, con sfumature dal giallastro al rosa. L’altro protagonista è l’abete bianco che vedremo per tutta l’escursione, con il suo portamento slanciato e spesso imponente; simbolo naturale e storico di queste foreste, è presente naturalmente, come specie autoctona, ma anche piantato e curato dall’uomo per il legname pregiato.
Dove il sentiero supera una serie di bancate rocciose si incontrano due specie sporadiche di faggeta: l’agrifoglio ed il sorbo degli uccellatori; il primo è ben riconoscibile in inverno per il fogliame sempreverde, lucido e coriaceo, il secondo spicca in autunno per le fronde prima violacee, poi dorate, ingentilite da grappoli di frutti rossi (per inciso, un bel viale si trova proprio in Campigna). Il sotto bosco è ricco di tutte le specie tipiche della faggeta su suolo fresco-umido ma ben drenato, come le diverse specie di Cardamini, in cui l’aggettivo specifico richiama il numero delle foglie o le particolarità del fusto (Cardamine trifolia, eptaphylla, poliphylla, bulbifera). Continuando a scendere intravvediamo tra le chiome l’abitato di Campigna immerso nella Foresta.
Proseguendo, si giunge in uno dei tratti più spettacolari con strati di arenaria che mostrano alla base le impronte degli antichi fondali marini. Ai piedi delle rocce, nei punti più freschi, vegeta la curiosa lingua cervina, felce dalle fronde a nastro e dall’aspetto lussureggiante, quasi tropicale. Tra gli alberi, osservando con attenzione, si possono scorgere sui tronchi morti i fori provocati dai picchi e con probabilità anche dal grande picchio nero che da alcuni anni è segnalato in queste foreste.
Superiamo un colossale abete bianco caduto sul sentiero, poi raggiungiamo il crinale secondario di Poggio Termini (il nome evoca la presenza di antichi confini forestali) con presenza delle specie più amanti del sole, come il maggiociondolO”, destinato a soccombere dove avanza la faggeta e a

concentrarsi invece nei luoghi più aperti (balze rocciose, radure, ecc.). Il versante che scende verso il Fosso della Ruota è relativamente più “caldo” e oltre al faggio troviamo l’elegante acero riccio, in
particolare uno, poco prima del torrente, enorme e biforcuto. Il Fosso della Ruota scorre in ambiente selvaggio e incontaminato: cascatelle, salti di roccia, ripide balze coperti da felci. Il sentiero risale l’ennesimo costone, dove il bosco di abete si fa più fitto e omogeneo (prima della cresta si segnala un bell’esemplare di tasso). Nell’abetina si notano grandi nidi di Formica rufa, introdotta qualche decennio fa dal Corpo Forestale per combattere i parassiti dell’Abete bianco. Sul crinale ancora alberi che amano la luce: oltre ai maggiociondoli, perastro, frassino maggiore, carpino nero. La discesa verso le Cullacce è in pieno bosco misto dove il faggio è solo una delle tante specie presenti: ciliegio, carpino bianco, cerro, aceri (di monte, riccio, campestre), olmo montano, tiglio, nocciolo, salicone.

Dopo un’ora (dalla Calla) raggiungiamo la pista forestale delle Cullacce, chiusa al traffico e che da Campigna arriva al confine con la Riserva Integrale di Sasso Fratino. La si segue in direzione Campigna (sinistra) per circa 400 metri e poi si scende lungo il sentiero 243 tra blocchi di arenaria coperti di muschio. Dopo poche centinaia di metri si giunge al Ballatoio 097 m), semplice e utile ricovero sempre aperto.
Si prosegue ancora per breve tratto sulla dorsale (notare i pini neri derivanti da antichi rinfoltimenti) dopodiché il sentiero piega decisamente a sinistra rituffandosi nella foresta di faggio. Presso il Fosso della Ruota il colpo d’occhio è fantastico, con faggi e aceri secolari, tra felci e pozze d’acqua: è l’ambiente di vita degli anfibi presenti in Foresta:
Salamandra pezzata, Geotritone, Salamandrina dagli occhiali. Siamo ormai sotto i 900 metri e il faggio non è più il dominatore assoluto; presso Poggio Termine troviamo carpini e aceri tra cui l’acero opalo, più tipico della fascia di vegetazione sottostante. Tra i colossi si segnalano un acero riccio ed un sorbo montano poco prima di raggiungere il crinale. La discesa verso il riccio ed un sorbo montano poco prima di raggiungere il crinale. La discesa verso il torrente attraversa un corpo di frana che rende il sotto bosco oltremodo suggestivo con grandi blocchi di arenaria squadrata. Annotiamo anche la presenza del castagno. Sotto di noi il fragore del torrente, più ricco d’acqua del precedente e attraversato da un ponticello di legno. All’attacco della lunga, ultima salita che ci attende, un monumentale abete bianco ed un faggio, quasi a simbolo di queste Foreste.
Un breve tratto in mezzo ad un impianto artificiale di abete odoroso americano (douglasia) ci porta alla casa di Villaneta (893 m), dove una buona mulattiera a sinistra va a doppiare l’ennesimo costone per mostrarci, nell’ultimo tratto, una serie di alberi centenari che la fiancheggiano a mo’ di viale: sono ciliegi, poi noci e infine ippocastani, piantati a fine ‘800 come in una sorta di passeggiata romantica.
Ci accompagnano fino a Campigna (2 ore).

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